[Angelo Peretti]
Buon per loro che ne sono convinti e che probabilmente hanno anche potuto effettuare verifiche dirette. Parlo di Marvin R. Shanken e Thomas Matthews, i leader di Wine Spectator, persone tra le più influenti del pianeta in campo di vino. Bene, nel loro editoriale, a firma come sempre congiunta, del numero d’agosto, quello che contiene “The List”, l’elenco dei ristoranti aventi, secondo la rivista, le migliori cantine nel mondo, esprimono la loro opinione sui trend in atto nella compilazione delle liste dei vini. Dicono: “Le liste dei vini dei ristoranti stanno evolvendo – e migliorando – in molte maniere. È un gran momento per gli appassionati del vino cui piace cenare fuori”. Poi spiegano: “Vediamo le liste diventare più diversificate. Per i sommelier sta diventando un punto d’onore offrire vini che vengono dalle più remote regioni e dalle più oscure varietà di vitigni. La scala di profumi è semplicemente spettacolare, e le possibilità di abbinamento sono pressoché infinite. Peraltro, c’è anche una rinnovata enfasi sui classici. La Borgogna, forse la regione vinicola storicamente più ricca al mondo, è ultra-trendy. Le selezioni di Champagne stanno esplodendo, con una focalizzazione sui piccoli produttori e su specifici terroir. Il Piemonte sta riguadagnando rispetto. Perfino Bordeaux, considerata appena qualche anno fa da molti giovani sommelier alla stregua di certe vecchie, noiose notizie, sta facendo ritorno, di pari passo con la crescita di qualità delle piccole aziende”.
Non commento e vado avanti.
Dicono ancora: “Le liste dei vini stanno anche diventano digitali. In maniera crescente, i ristoranti stanno adoperando gli iPad e gli altri tablet per presentare le loro selezioni e anche per fornire a chi cena informazioni supplementari sui vini che vengono offerti, tipo dettagli tecnici, foto dei vigneti, perfino interviste video dei winemaker”.
Ora eccomi qui con un commento.
Non ho certamente l’esperienza di Shanken e Matthews, né la possibilità di girare il mondo come loro, e del resto già gli Stati Uniti sono in effetti un mondo intiero. Però se guardo all’Italia, mi pare che la situazione si stia polarizzando. Da una parte le liste dei posti turistici, tutte uguali, fatte con lo stampino dal distributore, immutate e immutabili, stampate in tipografia, perché non serve cambiarle di frequente (neanche l’annata ci scrivono, per non buttar via i fogli). Dall’altra le trattorie e i ristoranti (a volte perfino le pizzerie) che si vogliono distinguere e seguono l’ultima moda imperante: il “naturale”, il bioqualcosa, il che significa tuttavia un’altra, diversa standardizzazione, perché anche qui finisce che ci sono sempre le solite cose. Vedo invece poca visione d’assieme al mondo del vino. Quella visione elogiata da Wine Spectator. E a mio avviso, per fornirla non occorre avere carte dei vini da centinaia di etichette. Ne bastano cinquanta o sessanta. E tanta fatica personale nel fare ricerca. Fatica che molti – quasi tutti – giudicano sprecata, perché poi novantanove volte su cento la gente chiede le solite etichette. Così il cane si morde la coda.
Sono completamente d'accordo con te sulle tendenze delle liste vini. Se il gestore non è un po' appassionato di suo difficilmente si ingegna più di tanto nella gestione del vino. C'è anche da dire che la ricerca costa tempo e denaro e quando vendi fiumi di vino sfuso a 5 euro ogni mezzo litro penso venga meno anche il razionale per cercare prodotti interessanti e di nicchia.
Bell'articolo Angelo. Meriterebbe un dibattito lungo così, perchè è in fondo LA questione del vino in Italia. Inutile chiedersi perchè stiano in piedi solo le cantine che fanno tanto export. Se non si parte dalla competenza e dalla curiosità del ristoratore, se non si cura la formazione del personale in sala, se non si esce dalle carte dei vini formattate, non si inizierà mai un reale cammino di costruzione di conoscenza enoica. Stesso discorso per enoteche e rivendite. Bisogna smettere di comprare e vendere etichette.
Mario Plazio