Si beve (anche) per ricordare

10 gennaio 2014
[Angelo Peretti]
Ha ragione Camilla Baresani: si beve (anche) per dimenticare. Dice: “Beviamo tutti anche per dimenticare, per tornare a uno stato d’innocenza interpretativa - sociale, enologica, artistica, letteraria -, alla purezza delle emozioni”. Lo dice su “Io Donna”, il magazine del Corriere della Sera, che leggo sempre con colpevole ritardo. Ma i pezzi di Camilla Baresani, anche tardivamente, me li gusto, come ghiottonerie letterarie. E aggiunge che è un po’ come accade per i libri: “A volte penso di saperne troppo, di avere perso lo sguardo edonistico del lettore non professionale, e cerco tramite il vino uno stato di fruttuosa spensieratezza, che mi aiuti a leggere senza l’intralcio di tutti quei retroscena che ho appreso in anni di studio e di lavoro”.
Ecco, sì, ha ragione. A me succede col vino, perché trent’anni di frequentazione delle cantine e delle degustazioni - già, col 2014 sono esattamente trent’anni dai primi balbettii enologici - fatico a tastare con quella spensieratezza che il vino richiederebbe. Però quella stessa voglia di spensieratezza mi spinge a bere (anche) per ricordare. Ricordare, intendo, il senso primo del vino, che è il racconto di persone e di vigne e di terre e di albe e di piogge e d’altro, e l’altro è la vita. Ricordare che senza umanità il vino è niente, una bevanda alcolica, nulla più.
Dimenticare, talvolta, aiuta a ricordare.
Grazie, Camilla.

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