[Angelo Peretti]
Qualche settimana fa un mio amico commercialista mi diceva che ormai cerca solo due categorie di clienti: albergatori e produttori di vino. Gli unici coi quali si può andar tranquilli, perché turismo e vino sono i settori che tengono in piedi la baracca italiana. Temo che cominci a non essere più tanto vero. L'andamento meteo dell'ultimo paio di mesi ha messo in seria difficoltà parecchi operatori del turismo, che difficilmente nel resto della stagione potranno recuperare i minori introiti. E il vino sta cominciando a rallentare pure lui, anche sul fronte delle esportazioni: le statistiche pubblicate qui e là direbbero di no, ma la mia impressione, invece, è esattamente questa, e l'ho scritto già un mesetto fa, dicendo anche di aver qualche segnale di discesa dei prezzi, conseguenza di una frenata delle vendite (e le vendite sono, appunto, soprattutto sull'estero). Tranquilli, non sono un pessimista per natura. O forse c'è da preoccuparsi se un non pessimista come me si preoccupa ogni giorno un pochino di più. Certo non mi ha rasserenato leggere ieri sul Corriere della Sera un titolo così: "La recessione peggiora, cala l'export". Scrive il Corrierone che secondo i dati diffusi ieri l'altro dall'Istat, "per la prima volta cede anche l'export (-0,1%)". Ecco, è un calo leggerissimo, e non si parla di vino ma di export in generale, però è la conferma di una tendenza che avverto anche per il vino. E se comincia a rallentare l'export, tra le vigne e nelle cantine avremo dei bei grattacapi. Direi che è il caso di cominciare ad attrezzarsi.
Mio modesto parere sull'argomento, supportato pero' da qualche dato.
L'Italia e' cresciuta all'estero sopratutto nel segmento dei vini da consumo, quelli che per capirci sono sui due euro al litro, fatti spesso di vino da tavola o di IGT. Le politiche di controllo dell'offerta imposte dal sistema dei diritti di reimpianto, la progressiva diminuzione delle superfici viticole (circa 80.000 ettari in un decennio), la rigidita' dell'offerta, gia' una caratteristica naturale del comparto, accentuata dalla giungla di regole, limitazioni, tutte volte a mantenere lo status quo e a stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di liberalizzazione, ha portato negli ultimi due anni ad aumenti folli dei prodotti all'origine. Dai dati ISMEA si vede come sopratutto i vini generici hanno avuto aumenti medi (!) di oltre il 40 % (meno, ma sempre nell'ordine delle due cifre, gli altri). Sono proprio questi vini che tiravano l'export, che inevitabilmente sta frenando a causa degli aumenti che fanno uscire i vini dal segmento del consumo.
In Italia piace fantasticare sulla qualita', immaginando un comparto vitivinicolo dove tutto il vino prodotto sia DOC/DOCG e venduto a prezzi premium. Un desiderio condivisibile, ma non piu' realistico dell'abbassamento delle tasse o dell'elisir di lunga giovinezza. Semmai un obiettivo a qui tendere nel lungo periodo, supportato da una promozione come si deve, oggi piu' che mai importante e assente.
Ma la grande massa del vino prodotto in Italia, che e' ancora il numero 1 o 2 del mondo, non puo' uscire dalla fascia di prezzo del consumo di massa, pena il calo drastico delle vendite.
Tutti noi sappiamo bene quale sia la differenza di vendite tra un vino che passa da una fascia all'altra di mercato, persino per spostamenti di poche decine di centesimi (per es. da 4.99 a 5.40). Spesso significa una riduzione delle vendite di decine di punti, a volte un tonfo dal quale non ci si riprende.
Quindi, o questo paese dimezza il potenziale produttivo, punta alla qualita' alta, e se e' bravo trova un mercato per essa, oppure si mette in testa che se hai tanto vino devi essere bravo a contenere i costi, che da noi sono, in buona parte, anche rappresentati dai vincoli amministrativi e di mercato ormai insostenibili.
Delle due l'una, altre cose sono solo pii desideri e bugie raccontate a noi stessi (sulle quali questo paese e' vissuto per decenni, con gli effetti che vediamo).
Parere tranchant, ma molto interessante. Personalmente, tuttavia, ritengo incidano anche (anche, ripeto) altre dinamiche. Prendiamo i vini a denominazione: la regolazione del mercato, mission prioritaria dei "nuovi" consorzi di tutela post decreto legislativo 61, è ancora una pia illusione tutta sulla carta, salvo poche eccezioni.
Ringrazio Gianpaolo (che purtroppo non conosco) per l'illuminante parere che mi trova totalmente d'accordo. Questo è quello che, pur con i limiti della mia attività, rilevo anch'io. Vorrei che tante dotte dissertazioni e tanti studi inutili ed autoreferenziali avessero la chiarezza di questo articolo. Invece i "bravi" italioti non fanno altro che parlarsi addosso recitando il copione del "tutto va bene, siamo i migliori produttori e i principali esportatori". Quando ci sveglieremo sarà sempre troppo tardi.
Mario Plazio