[Angelo Peretti]
Da quando vanno di moda i bioqualcosa la gente, certa gente, s’è fatta più tollerante, a volte fin troppo tollerante, in fatto di odori nel bicchiere. Per dire: se una decina d’anni fa dentro a un calice di rosso ci trovavi un che d’animalesco, anche solo un accenno, salvati o cielo! Erano critiche e insulti e stroncature. Ora no, ora non solo si tollera, ma addirittura si esalta l’aberrazione olfattiva, e siamo dunque passati da un estremo all’altro. Al che, signori miei, vien da pensare che le mode saranno anche una bella cosa, ma troppe volte offuscano proprio la capacità di giudizio.
Personalmente, sono tra quelli che un minimo d’imperfezione l’han sempre gradita. Non saprei immaginarmelo un Madiran vecchio stile senza che un briciolo – giusto un briciolo – di brett aiuti il fruttino a uscire da quella massa di tannini portati in dote dall’uva di tannat. Né, per stare dalle mie parti, riuscirei a bere con gusto un Recioto della Valpolicella che non avesse l’acidità volatile un po’ – giusto un po’ – sopra le righe.
Comunque, chi avesse voglia d’una full immersion nel pellame d’animale selvatico, senza peraltro che questo si rifletta in un tanfo che nulla ha a che vedere col vino e col terroir, be’, gli consiglio di fare un incontro con i vini rossi che si fanno nella Loira con le uve di cabernet franc. No, non aspettatevi la vegetalità che si trova sovente nei franc di casa nostra. Là è proprio roba animalesca, quando il vino, superata la fase della prima infanzia (fase nella quale parlar d’introspezione è ancora poco), non è ancora uscito dalla pubertà, e dunque non ha ancora il frutto rosso e la spezia a dominare la scena. Son rossi, infatti, da bere in genere almeno decenni, e staranno allora nel bicchiere con piena soddisfazione.
Giusto per dire, nei giorni scorsi mi sono aperto una bottiglia d’un Chinon di Chateau de Coulaine, il Bonnaventura del 2009, che è ancora roba giovane. Viene da uve coltivate secondo i canoni, certificati, dell’agricoltura biologica. Sotto ci sente il fruttino che scalpito, che è pronto a spiccare il volo. E c’è una trama tannica fitta. E c’è una speziatura pepata che mi intriga. Ma il naso è ancora dominato da quelle selvatiche tracce animali che dicevo, e che però non arrecano fastidio, ma anzi aiutano ad esprimere quella cosa quasi impalpabile che i francesi chiamano terroir.
Bevete Chinon, voi che cercate “quel” genere di vini.
Chinon Bonnaventure 2009 Chateau de Coulaine
Due lieti faccini :-) :-)
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