[Angelo Peretti]
Abbinare il vino italiano al cibo italiano "è veramente la cosa più assurda che si possa fare nel presentare il vino italiano". Lo dice Ch'ng Poh Tiong, e per chi non lo sapesse, questo signore è il publisher di The Singapore Wine Review, nonché uno degli editorialisti della rivista britannica Decanter. Uno che conta parecchio nel fare opinione in tema di vino sull'enorme mercato asiatico. E non lo dice mica perché non ami l'abbinamento cibo-vino all'italiana. No, lo dice perché è stanco di vedere i promoter italiani del vino che sprecano tempo e denaro nell'invitare i cinesi a pranzi e cene in cui si abbina il vino italiano alla cucina e al cibo italiano: "I cinesi in casa non tengono mica una forma di Parmigiano, e tantomeno nei supermercati cinesi si trovano la mozzarella e il salame", osserva, e ha perfettamente ragione.
Lo scrive sulla pagina che Decanter gli affida mensilmente, sul numero di giugno. E lo fa con la penna che a tratti sembra intinta nel veleno. Il che credo voglia dire che è proprio stufo della nostra maniera di fare. "Abbinare il vino italiano col cibo italiano - scrive - in Italia è abbastanza naturale. Dato il vantaggio ambientale, chiunque riesce a vincere facile. Però lo stesso non si può dire quando il vino italiano viaggia verso terre straniere. Faccio giornalismo del vino da 35 anni e ogni volta che ricevo un invito da una cantina italiana ad assaggiare i suoi vini, se poi ci sono un pranzo o una cena, il cibo è invariabilmente italiano, anche se siamo a Singapore, Hong Kong o in Cina. Se all'apparenza questo può sembrare logico, in verità è la cosa più assurda che si possa fare nel presentare il vino italiano. Pensateci: perché mai qualcuno deve volare per dieci o dodici ora dall'Italia all'Asia solo per informarci o confermarci che i vini italiani si abbinano meravigliosamente con la cucina italiana? Non lo sapevamo forse già da soli? Invece di sprecare i sempre meno valutati euro per biglietti d'aereo, stanze d'albergo e conti di ristoranti (italiani), tutti questi produttori, commerciali e uomini di marketing potrebbero semplicemente starsene a casa e scriverci: 'Vino italiano e cucina italiana - numero uno!' Sai che sorpresa?"
Insomma, Ch'ng Poh Tiong dice che la nostra gente del vino butta via tempo e soldi quando va a fare la promozione in Cina usando parametri tipicamente e assurdamente italiani in una terra dove il cibo è un'altra cosa. E dunque bisognerebbe impegnarsi invece a mostrare come il vino italiano stia bene con le cucine e con i prodotti asiatici, quelli che la gente del posto mangia tutti i giorni. Perché altrimenti il rischio, spiega, è quello di convincere gli asiatici che il vino italiano si può bere solo con la cucina italiana, e che dunque non bisogna berlo quando non si hanno davanti piatti italiani. Un autogol spaventoso. Incomprensibile, anche perché "la verità - dice - è che molti dei vostri vini si sposano in modo sensazionale con i piatti cinesi o asiatici".
Invece no. Invece si fa promozione del vino italiano solo nei ristoranti che fanno cucina italiana. E Ch'ng Poh Tiong, ironicamente, si domanda perché: "Li state supportando perché sono vostri fedeli compratori dei vostri vini? O forse perché non pagano il vostro distributore che gli ha fornito il vino e in questo modo cercate di rientrare con i conti? Ma in questi casi, cosa avete da guadagnarci nell'investire in un business in declino?"
La conclusione è amara: se continuiamo così, non c'è da stupirsi se nei ristoranti (quelli non italiani) dell'Asia non c'è una sola bottiglia italiana.
Ha perfettamente ragione. Ci sono fior di sommelier diplomati italiani che possono essere chiamati all'estero dal nostro carrozzone promozionale, l'ICE, o dai produttori privati che possono associarsi per ogni manifestazione vinicola oltre confine, per studiare brevemente le pietanze locali, fare affidamento sugli appassionati locali di vino e proporre gli abbinamenti migliori.
Secondo me non e' sbagliato abbinare qualcosa di italiano, facendo anche promozione di prodotti tipici o insegnando ricette tipiche (sono tutte curiose le donne presenti...), ma va cercato anzitutto il matrimonio locale. Cosa ci sono a fare i sommelier, eh? Ma li vogliamo occupare come si deve?
...che ridere, come al solito ci dobbiamo far "bacchettare" dal resto del mondo, possibile che da soli non riusciamo a fare uno sforzo e a pensare al di là nelle nostre abitudini?
...penso ai sacri testi sugli accostamenti, le didascalie dei nostri vini, per locandine e depliant, tradotte in inglese, cinese o indiano, dove facciamo una fatica bestia a descrivere il brasato, il cacciucco e la polenta, per apprezzare l'armonia con quel tale vino e non ci chiediamo mai cosa ci mangerebbero, invece, loro, i nostri amici clienti d'oltre oceano!
Poi, noi, quando non sappiamo cosa mangiare o vogliamo fare i f.... andiamo al cinese o a farci un sushi e magari beviamo la "billa"!
Alla faccia dei provinciali!
...prosit!
il gustologo
...sacro e santo è, naturalmente, promuovere la dieta mediterranea e ancora meglio i nostri prodotti alimentari, accostati ai nostri vini, ma un esercizio di elasticità gastronomica, forse, potrebbe farci del bene!
..a riprosit!
il gustologo
@Remo. Esatto: elasticità culturale, è questa la parola d'ordine.