L'assurdo del vino italiano col cibo italiano

11 giugno 2012
[Angelo Peretti]
Abbinare il vino italiano al cibo italiano "è veramente la cosa più assurda che si possa fare nel presentare il vino italiano". Lo dice Ch'ng Poh Tiong, e per chi non lo sapesse, questo signore è il publisher di The Singapore Wine Review, nonché uno degli editorialisti della rivista britannica Decanter. Uno che conta parecchio nel fare opinione in tema di vino sull'enorme mercato asiatico. E non lo dice mica perché non ami l'abbinamento cibo-vino all'italiana. No, lo dice perché è stanco di vedere i promoter italiani del vino che sprecano tempo e denaro nell'invitare i cinesi a pranzi e cene in cui si abbina il vino italiano alla cucina e al cibo italiano: "I cinesi in casa non tengono mica una forma di Parmigiano, e tantomeno nei supermercati cinesi si trovano la mozzarella e il salame", osserva, e ha perfettamente ragione.
Lo scrive sulla pagina che Decanter gli affida mensilmente, sul numero di giugno. E lo fa con la penna che a tratti sembra intinta nel veleno. Il che credo voglia dire che è proprio stufo della nostra maniera di fare. "Abbinare il vino italiano col cibo italiano - scrive - in Italia è abbastanza naturale. Dato il vantaggio ambientale, chiunque riesce a vincere facile. Però lo stesso non si può dire quando il vino italiano viaggia verso terre straniere. Faccio giornalismo del vino da 35 anni e ogni volta che ricevo un invito da una cantina italiana ad assaggiare i suoi vini, se poi ci sono un pranzo o una cena, il cibo è invariabilmente italiano, anche se siamo a Singapore, Hong Kong o in Cina. Se all'apparenza questo può sembrare logico, in verità è la cosa più assurda che si possa fare nel presentare il vino italiano. Pensateci: perché mai qualcuno deve volare per dieci o dodici ora dall'Italia all'Asia solo per informarci o confermarci che i vini italiani si abbinano meravigliosamente con la cucina italiana? Non lo sapevamo forse già da soli? Invece di sprecare i sempre meno valutati euro per biglietti d'aereo, stanze d'albergo e conti di ristoranti (italiani), tutti questi produttori, commerciali e uomini di marketing potrebbero semplicemente starsene a casa e scriverci: 'Vino italiano e cucina italiana - numero uno!' Sai che sorpresa?"
Insomma, Ch'ng Poh Tiong dice che la nostra gente del vino butta via tempo e soldi quando va a fare la promozione in Cina usando parametri tipicamente e assurdamente italiani in una terra dove il cibo è un'altra cosa. E dunque bisognerebbe impegnarsi invece a mostrare come il vino italiano stia bene con le cucine e con i prodotti asiatici, quelli che la gente del posto mangia tutti i giorni. Perché altrimenti il rischio, spiega, è quello di convincere gli asiatici che il vino italiano si può bere solo con la cucina italiana, e che dunque non bisogna berlo quando non si hanno davanti piatti italiani. Un autogol spaventoso. Incomprensibile, anche perché "la verità - dice - è che molti dei vostri vini si sposano in modo sensazionale con i piatti cinesi o asiatici".
Invece no. Invece si fa promozione del vino italiano solo nei ristoranti che fanno cucina italiana. E Ch'ng Poh Tiong, ironicamente, si domanda perché: "Li state supportando perché sono vostri fedeli compratori dei vostri vini? O forse perché non pagano il vostro distributore che gli ha fornito il vino e in questo modo cercate di rientrare con i conti? Ma in questi casi, cosa avete da guadagnarci nell'investire in un business in declino?"
La conclusione è amara: se continuiamo così, non c'è da stupirsi se nei ristoranti (quelli non italiani) dell'Asia non c'è una sola bottiglia italiana.

4 commenti:

  • Mario Crosta says:
    11 giugno 2012 alle ore 15:15

    Ha perfettamente ragione. Ci sono fior di sommelier diplomati italiani che possono essere chiamati all'estero dal nostro carrozzone promozionale, l'ICE, o dai produttori privati che possono associarsi per ogni manifestazione vinicola oltre confine, per studiare brevemente le pietanze locali, fare affidamento sugli appassionati locali di vino e proporre gli abbinamenti migliori.
    Secondo me non e' sbagliato abbinare qualcosa di italiano, facendo anche promozione di prodotti tipici o insegnando ricette tipiche (sono tutte curiose le donne presenti...), ma va cercato anzitutto il matrimonio locale. Cosa ci sono a fare i sommelier, eh? Ma li vogliamo occupare come si deve?

  • Remo Pàntano says:
    12 giugno 2012 alle ore 10:05

    ...che ridere, come al solito ci dobbiamo far "bacchettare" dal resto del mondo, possibile che da soli non riusciamo a fare uno sforzo e a pensare al di là nelle nostre abitudini?
    ...penso ai sacri testi sugli accostamenti, le didascalie dei nostri vini, per locandine e depliant, tradotte in inglese, cinese o indiano, dove facciamo una fatica bestia a descrivere il brasato, il cacciucco e la polenta, per apprezzare l'armonia con quel tale vino e non ci chiediamo mai cosa ci mangerebbero, invece, loro, i nostri amici clienti d'oltre oceano!
    Poi, noi, quando non sappiamo cosa mangiare o vogliamo fare i f.... andiamo al cinese o a farci un sushi e magari beviamo la "billa"!
    Alla faccia dei provinciali!
    ...prosit!
    il gustologo

  • Remo Pàntano says:
    12 giugno 2012 alle ore 10:11

    ...sacro e santo è, naturalmente, promuovere la dieta mediterranea e ancora meglio i nostri prodotti alimentari, accostati ai nostri vini, ma un esercizio di elasticità gastronomica, forse, potrebbe farci del bene!
    ..a riprosit!
    il gustologo

  • Angelo Peretti says:
    14 giugno 2012 alle ore 07:49

    @Remo. Esatto: elasticità culturale, è questa la parola d'ordine.

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