Perché accettare il difetto del vino?

10 giugno 2012
[Angelo Peretti]
Qualche giorno fa, commentando con la sua consueta competenza il mio intervento "contro il sughero", che mi rede nevrastenico per la gran quantità di difetti del vino di cui è responsabile, Mike Tommasi, wine writer, scriveva, tra l'altro, così: "Rimane il fatto che, a differenza di ogni altro mercato, quello del vino accetta che oltre il 10% del prodotto sia difettoso, accettando il difetto come una specie di fatalità o tradizione. Ogni volta che devo tazzare una bottiglia (l'ultima ieri sera, un Tai Rosso del Veneto) mi dico che è ora di finirla col sughero..." Ecco, sì, questo resta un mistero anche per me: com'è possibile che se una camicia o un soprammobile hanno il benché minimo difetto se ne pretende la sostituzione o il rimborso e invece con il vino si lascia correre?
Certo, molto spesso il vino lo si compra oggi per berlo chissà quando. In più, lo si compra in una certa zona e poi lo si porta a casa, magari lontano dalla zona d'acquisto, e lo si conserva chissà come, e dunque è difficile capire se il difetto è originario oppure se è stato indotto dal cliente per imperizia o per cattiva conservazione. Va bene. Ma il più delle volte è proprio il tappo a far la differenza.
Cito l'ennesimo caso, recentissimo. Cena in Piemonte, piccolo ristorante. Ordino un Dolcetto 2009 che mi piace parecchio. Arriva la bottiglia, assaggio e il vino non è come lo ricordo. Asciuga un pochino il palato, tende a essere un po' piatto. Insomma, non ha vitalità. Tipico difetto da sughero. Lo dico al ristoratore, ma il tappo non sa... di tappo e il vino nemmeno e dunque quello mi dice che per lui non è difettoso. Allora sfodero la solita tecnica (a volte funziona): dico di portare una seconda bottiglia e che sono disposto a pagarle entrambe se il vino è uguale. Stappiamo la seconda, assaggiamo e i due vini sono come il giorno e la notte. Il ristoratore, molto onestamente, ammette la differenza, che è sensibile, e porta via la prima bottiglia.
Ecco, dico: ma è proprio bisogno arrivare a questo? Non è più semplice cambiare tipo di chiusura? Alla fin fine, ci guadagnerebbero tutti. Anche il produttore. Se non avessi già bevuto altre volte quel Dolcetto e dunque non avessi capito che la bottiglia era fallata, mi sarei alzato pensando che era una ciofeca e che il vignaiolo non era all'altezza. Invece era il tappo.

16 commenti:

  • Unknown says:
    10 giugno 2012 alle ore 10:35

    ...mi viene da pensare che dentro a quel cilindretto di sughero ci siano milioni e milioni di euro di interessi, di posti di lavoro e quasi il mondo intero!?
    ...mi pare proprio che ci sia un movimento, forte e ben finanziato pro-sughero!?
    ...mi sembra anche che i difetti del sintetico siano arrivati al pettine e che il tappo a vite, sornione, quasi quasi non ce la faccia a stare dietro alle richieste per tappare l'olio, i distillati, tutto e di più, alla fine anche il vino!?
    Come ce ne veniamo fuori?
    Prosit!
    il gustologo

  • jacopo cossater says:
    11 giugno 2012 alle ore 12:43

    Si, si e poi si. Non esiste alcun motivo per insistere nell'utilizzo del sughero e dei suoi derivati almeno per la metà dei vini italiani (ed è sicuramente una stima al ribasso). Andiamo oltre.
    Goodbye cork cap, hello screwcap.

  • Riccardo Rossini says:
    14 giugno 2012 alle ore 00:18

    Angelo, non ho commentato l'articolo Maledetto d'un Sughero perchè volevo divertirmi a leggere i commenti dei blogger.
    Ma ora mi sento di dire che non bisogna fare di tutta l'erba un fascio. Ci sono aziende del mondo sughero che hanno fatto molti passi avanti per migliorare un comparto che nel passato era in pratica statico e problematico nel risultato finale.
    È innegabile che il sughero sia migliorato negli ultimi anni, forse anche per merito del tappo sintetico e della competizione che ha fatto muovere i sugherai dalla staticità in cui si trovavano. Io ritengo che molti aspetti del mondo vino siano migliorabili ed in continua evoluzione sotto ogni punto di vista.
    Come avrai percepito io sono di parte perchè di vino e di sughero mi occupo, ma voglio cogliere l'occasione per lanciarti una sfida. Un invito! E cioè quello di visitare l'azienda portoghese più grande del mondo che di sughero si occupa e che fa della ricerca e sviluppo SERIA il proprio cavallo di battaglia.....quesro secondo me aiuta a vedere ed a avere una visione critica e costruttiva. Nono solo demolitiva.
    A te l'ultimo pensiero! Come e quando vuoi....

    Comunque complimenti per questo blog, che leggo con attenzione ogni giorno.

  • Anonimo says:
    14 giugno 2012 alle ore 00:23

    Jacopo: lascia perdere dicevano la stessa cosa del sintetico prima e del tappo in vetro poi. Tutte cose già viste e sentite.
    E dello screwcap: pregi e limiti li conosceremo!
    Ah, altro dato: le quote sughero stanno notevolmente aumentando. Non diminuendo.....
    Ola!

  • Angelo Peretti says:
    14 giugno 2012 alle ore 07:28

    @Jacopo. Sono (ovviamente) d'accordo, ma vallo a far capire agli italiani, che sono conservatori all'ennesima potenza.

  • Angelo Peretti says:
    14 giugno 2012 alle ore 07:42

    @Riccardo. Non ho alcun dubbio che i produttori di tappi in sughero abbiamo molto migliorato la loro attenzione a tutte le fasi produttive. Del resto, il fiato sul collo dei produttori di altri sistemi di chiusura si avverte, e questo non può che spingere al miglioramento: la concorrenza sprona (quasi) sempre a far meglio. Parimenti, non ho dubbi che visitare una sughereta e un'azienda della lavorazione e della trasformazione del sughero sia affascinante, e l'invito a una capatina in loco mi piace.
    Dico di più: sono anche convinto che probabilmente sulla maggioranza dei vini tuttora sia preferibile utilizzare il sughero, in quanto non si possiedono per tutti i vini e per tutte le situazioni esperienze sufficientemente ampie sugli esiti della chiusura con altri sistemi.
    Tuttavia, la sensazione che deriva dalla mia esperienza empirica di degustatore di tanti, tantissimi vini, mi porta a dire che purtroppo negli ultimi anni è cresciuta da parte mia la percezione di bottiglie affette da aberrazioni in qualche maniera rivenenti dal tappo, e ovviamente non mi riferisco soltanto al classico "odore di tappo" (tca et similia). Non ho prove documentali, ovvio, anche perché non mi occupo di tappi, bensì di vini, ma non vorrei che la corsa alla soluzione del "problema tca" abbia portato a generare altre problematiche come "effetto collaterale" (per esempio, difetti provenienti da perossidi, da lavaggi, da sbiancature, da colle, eccetera). Oso dire che anzi la mia impressione è che sia accaduto proprio questo.
    Certo, la chiusura perfetta non esiste. Il sughero genera varie aberrazioni. La vite produce riduzioni talvolta eccessive. Sul sintetico stendo un velo pietoso. Il vetro mi pare solo una bizzarra trovata, visto che a chiudere è appena una minuscola guaina. Eccetera.
    Il problema comunque c'è e rimane. La mia percezione è che i difetti, o meglio - insisto - le aberrazioni organolettiche e tattili provenienti dalla tappatura siano ancora oltre la soglia del 10%, il che è, oggettivamente, eccessivo.

  • Stefano Menti says:
    17 giugno 2012 alle ore 14:35

    Da anni uso il tappo a vite su parte del nostro Gambellara Paiele; dico parte perché molti clienti pretendono il sughero.

    Il ns. agente di Venezia mi ha sempre detto: "se tappiamo tutto il Paiele in sughero, perderemo una gran fetta di mercato"; infatti, come lui può testimoniare, quando raccoglie gli ordini a Venezia, dopo aver staccato la copia commissione, dice al cliente: "lo sai che questo vino ha il tappo a vite" e 8 casi su 10 il cliente annulla l'ordine.

    Questo l'agente lo fa perché è meglio avere l'ordine annullato che il vino consegnato che poi ti viene reso.

    A rafforzare questa tesi, domenica scorsa, Mario Pojer al ring di Terroirvino ha detto: "l'80% dei ristoratori italiani, non accetta il tappo a vite".

    Dunque, che fare?

  • Angelo Peretti says:
    17 giugno 2012 alle ore 16:15

    Le cose, Stefano, stanno esattamente come le dipingi. E allora c'è un'unica cosa che il bevitore sapiente può fare per opporsi alla tracotante ignoranza di troppi sedicenti ristoratori: mandar di ritorno tutte, ma proprio tutte le bottiglie che abbiano anche la minima aberrazione riconducibile al tappo. Prima o poi lo capiranno, accidenti! Ma se non si comincia a pretendere dai ristoratori che facciano il loro mestiere, be', allora non c'è speranza: troppa gente ha ancora il sacro timore del fare obiezioni al cameriere o al ristoratore. Assurdo.

  • armin says:
    17 giugno 2012 alle ore 17:58

    alludo al parere di mario pojer espresso a terroirvino:
    la mia quota "italiana" di vendita è il 20 %. se io convertirei tutto a sughero riuscirei a vendere tutti in italia.
    che prospettiva allettante!
    ;-)

  • armin says:
    17 giugno 2012 alle ore 18:47

    convertirei o convertiressi?
    mi sembra che sia giusto il secondo.
    purtroppo non si può correggere.
    angelo, lo fai te per me?
    grazie!

  • Angelo Peretti says:
    17 giugno 2012 alle ore 20:17

    Niente da fare, Armin, i commenti posso eventualmente cancellarli, ma non modificarli.
    Nel caso specifico ci va il congiuntivo, che è convertissi, ma non preoccuparti: c'è una marea di italiani madrelingua che non lo sanno usare, il congiuntivo, e per te è sicuramente concesso.
    La sostanza è che anche il buon Mario Pjer mi pare si stia arrendendo di fronte all'evidenza: larga parte della ristorazione italiana è troppo conservatrice e piena di pregiudizi per adottare una soluzione alternativa al sughero.

  • Andrea Tibaldi says:
    18 giugno 2012 alle ore 08:51

    A me è capitata una cosa strana, mercoledì abbiamo organizzato un evento per 100 persone e dunque abbiamo stappato una ventina di bottiglie di un vino autoctono dei colli bolognesi (un negrettino), beh, una di queste bottiglie era una spanna sopra le altre come piacevolezza... effetto tappo "al contrario"?

  • Angelo Peretti says:
    18 giugno 2012 alle ore 12:23

    Ma sì, credo possa essere effetto del tappo: un'altra aberrazione, data magari da una maggiore ossigenazione di quella bottiglia, magari di recente imbottigliamento, che hai avuto la fortuna di incontrare nel suo momento di picco. Molto probabilmente, quella stessa bottiglia avrebbe potuto essere anche quella che decadeva prima. Intanto è decaduta in tavola...

  • Stefano Menti says:
    18 giugno 2012 alle ore 13:56

    @Andrea Tibaldi ; è successo lo stesso a me. Anni fa ero a Brescia col ns. agente. Abbiamo aperto con un cliente una ns. bottiglia. Sia il cliente, che il ns. agente che un agente concorrente, l'hanno trovata grandiosa.

    Io ho detto la verità, non riconoscevo il vino, e lo riconoscevo comunque migliore.

    Abbiamo aperto un'altra bottiglia, era tutta un'altra cosa, meno aperta e più cruda.

    Morale: abbiamo venduto lo stesso poiché il cliente ha detto che il vino poteva solo migliorare come quello fallato ma, la bottiglia non era a posto.

  • Remo Pàntano says:
    19 giugno 2012 alle ore 13:01

    ...ma allora il nodo della matassa è il ristoratore e fors'anche il sommeliere e dico sommeliere mica per refuso???
    E' veramente molto difficile sfatare le convinzioni, gli usi e i costumi e ancora più difficile un'atto di umiltà da parte dei saccenti!!!
    Tutti si intendono di vino, tutti credono che sia meglio il sughero e che faccia solo del bene, ma quando vien fuori la magagna si salvi chi può!
    Sughero sì e perchè no, su certi vini, ma i rosati, i bianchi, proviamo anche con il vite!
    Mettersi alla prova sempre, "tastare semper", confrontarsi, cercare di capire i gusti degli altri, approfondire le proprie conoscenze sensoriali!
    E' da trentacinque anni che mi cimento e mi confronto, da quando ho raggiunto la maggiore età e m'hanno certificata quella scolastica!
    C'ho provato coi ristoratori a parlarne, coi gastronomi e con gli chef, c'ho provato coi sommelieri a discutere di vino e di cibarie e io ho imparato tanto, loro non sò?
    il gustologo

  • Angelo Peretti says:
    19 giugno 2012 alle ore 18:34

    Tastare sempre, alla ricerca del piacere

Posta un commento