Ma la Fivi cosa vuole?

18 luglio 2012
[Angelo Peretti]
Sono tra coloro che hanno visto con interesse e simpatia la nascita della Fivi, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti. Ma adesso, dopo aver letto la relazione che il presidente della Fivi, il valdostano Costantino Charrere, ottimo vigneron di montagna, ha tenuto all’assemblea generale svoltasi ai primi di luglio, mi pongo degli interrogativi. O meglio, penso sia la Fivi che, dopo quattro anni di attività (venne fondata il 17 luglio del 2008), dovrebbe interrogarsi, sciogliendo qualche dubbio. E i dubbi - dieci - li elenco qui di seguito.
1. Che cos’è la Fivi?
La Fivi sta agendo come un sindacato di categoria, ma non si è mai costituita come tale. È un’associazione che vuol fare il sindacato o è un sindacato vestito da associazione? La questione va chiarita, anche per evitare conflitti di interesse per i soci, giacché ritengo che molti di loro siano già affiliati a sindacati di settore (Coldiretti, Confagricoltura, Cia).
2. Chi sono i vignaioli?
La Fivi dice che il vignaiolo è colui che attua in proprio tutte le fasi della filiera: coltiva la vigna, trasforma l’uva e vende il vino. Ma quanta parte del vino commercializzato deve venire dalle vigne coltivate direttamente? Mi pare che in Francia siano categorici: dev’essere il cento per cento. In Italia le maglie sono molto, troppo larghe. Capisco che nella fase iniziale per la Fivi fosse essenziale far entrare più gente possibile, ma ora è tempo di fare chiarezza.
3. Qual è il rapporto tra la Fivi e i consorzi di tutela?
Mi si dice che Charrere, nei suoi interventi in giro per l’Italia, ribadisca spesso che la Fivi non è contro i consorzi. Tuttavia, dovrebbe sapere che un’excusatio non petita rischia di divenire un’accusatio manifesta, soprattutto quando la Fivi riconosce titolarità del proprio marchio a gruppi locali che vietano espressamente ai loro soci di aderire ai consorzi di tutela: è il caso, mai risolto, dei Vignaioli del Soave.
4. Per la Fivi i vignaioli sono tutti uguali?
Se un vignaiolo possiede tutti i requisiti e però gli sta bene aderire al proprio consorzio di tutela, perché mai dovrebbe essergli impedito di usare il marchietto della Fivi per il semplice fatto che altri vignaioli della sua stessa località dicono che se non esce dal consorzio è un vignaiolo immeritevole? Apprezzo che ci siano strutture locali della Fivi che si autoimpongono regole produttive più stringenti di quelle del disciplinare e che queste regole facciano da discrimine, ma non può essere l’adesione a un consorzio a rendere "indegno" il vignaiolo.
5. Cosa vuol diventare la Fivi?
Leggo nella relazione di Charrere che la Fivi ha presentato al ministero per le politiche agricole l’istanza di essere riconosciuta come “organizzazione di produttori”. Il ministero ha bocciato la domanda, ma ora la Fivi ci riprova su basi nuove. Se ci sono i presupposti, lo faccia, ma a questo punto la Fivi dovrebbe chiarire se intende essere alternativa ai sindacati di settore o ai consorzi di tutela, cui la riforma dell’Ocm vino ha attribuito compiti completamente nuovi. Ovvero, se non intende esserne antagonista, dica come si pone nei loro confronti.
6. Qual è il rapporto della Fivi con Slow Food?
Slow Food ha accompagnato la nascita della Fivi, e non a caso ha affiancato ai vignaioli, nella fase iniziale, uno dei propri uomini di punta, ossia Giancarlo Gariglio. Poi la Federazione ha fatto da sé. Ora leggo che Charrere ringrazia Carlo Petrini, lider maximo di Slow Food, perché è grazie a lui che la Fivi ha potuto incontrare il ministro. Ma davvero una realtà che vuol essere rappresentativa ha bisogno di uno sponsor per parlare col ministro?
8. Perché la Fivi non sfonda soprattutto al Sud?
I quasi seicento soci della Fivi sono concentrati al nord, in particolare in Piemonte, dove ha sede Slow Food, e nel Trentino Alto Adige, dove già esistevano i Vignaioli del Trentino e i Freie Wieinbauern Südtirol. Qualche buon numero è espresso da Veneto e Toscana. Insieme, le quattro regioni formano tre quarti della base associativa. Il Sud latita. Difficile dimostrarsi rappresentativi senza uno sforzo che guardi ai vignaioli meridionali.
9. Quand’è che la Fivi si metterà a comunicare?
Di cose la Federazione ne fa, ma le comunica poco e male. Occorre un salto di qualità. Comunque, meglio non parlare, piuttosto che farlo com’è successo col Mercato dei vignaioli di Piacenza, quando il comunicato stampa invitava a partecipare perché “è un’ottima occasione per assaggiare molti vini che hanno ricevuto i Tre Bicchieri, i Cinque Grappoli, le Chiocciole, le Stelle”.
10. Come fa la Fivi a raddoppiare se non è forza aggregante?
Auguro a Charrere di raggiungere l’obiettivo dichiarato all’assemblea: l’ingresso di altri seicento produttori, raddoppiando il numero degli iscritti. Temo tuttavia che finché la Fivi non avrà risolto gli interrogativi che mi sono permesso di esporre, l’obiettivo rischi di essere velleitario. Non si può unire, quando si legittimano le divisioni: questo a Charrere l’ho già detto di persona, e approfitto per ribadirglielo.

5 commenti:

  • Anonimo says:
    22 luglio 2012 alle ore 09:13

    Caro Angelo,

    sai che nei tuoi confronti nutro una grande stima, tanto è vero che all'inizio dell'avventura di Slow Wine ti chiesi di entrare nella nostra squadra come pezzo da novanta. Poi, visto la tua impossibilità (dati gli incarichi di prestigio ricoperti) è finito in un nulla di fatto.

    Fatta questa premessa, devo dire che il tuo pezzo mi ha lasciato con l'amaro in bocca. Un po' perché attacchi a testa bassa un'Associazione di gente seria e secondo perché in alcuni casi hai distorto i fatti (forse perché non li conosci bene).

    Vorrei cominciare a rispondere alla domanda 6. Quella che mi tocca da vicino. La Fivi non è stata creata da Slow Food. Era il 2008 quando i vigneron francesi durante Vinitaly contattarono alcune associazioni di vignaioli tra cui quella dell'Alto Adige. Peter Di Poli a sua volta, visti i tanti rapporti di amicizia, contattò, durante la fiera, Saracco. Paolo conosceva l'esperienza di Vignerons d'Europe, che si era svolto qualche mese prima a Montpellier e il mio impegno in questo senso. Venne nel mio stand e organizzammo nello spazio di Paolo Saracco una prima riunione improvvisata: c'erano Costantino Charrère, Saracco, Di Poli e il segretario dei Vignaioli dell'Alto Adige. Oltre al sottoscritto. Tutti riconobbero in slow food un'istituzione che aveva contatti con tanti vignaioli, non perché faceva una guida, ma perché aveva realizzato un incontro europeo. Io mi impegnai in prima persona nella cosa. Lo feci nel mio tempo libero, perché credevo e credo che il mio lavoro non si fermi al mettere il naso nel bicchiere, ma vada ben oltre, come ci ha insegnato Veronelli.

    Da quell'inizio 2008 slow food si è tenuta lontana dalla FIVI. Io ho svolto nel tempo libero il ruolo di segretario. Non sono stato affiancato da Slow Food, come scrivi tu in modo improprio. Quando Slow Food ha deciso che dovessi diventare il nuovo curatore di Slow Wine ho capito che i possibili conflitti di interesse sarebbero diventati troppo grandi da affrontare e quindi mi sono dimesso da Segretario Nazionale. Nessuno a Slow mi ha detto di farlo o non farlo. Sono stato libero e indipendente dall'inizio alla fine. Mai (anche vignaioli critici con slow food te lo potranno dire) all'interno del consiglio di amministrazione ho portato idee o piani elettorati da slow food, o che ci potessero in qualunque modo favorire.

    Ora a distanza di qualche anno la FIVI aveva bisogno di un piccolo aiuto per arrivare al ministro, Catania era a Pollenzo e Carlin si è prestato ad aiutare La FIVI in questo. Non penso sia uno scandalo. Ritengo che essere umili e capire i propri limiti sia saggio e giusto. La FiVI ha 600 soci, sudati uno ad uno, non potrebbe mai, nonostante i nomi di altissimo prestigio, scalfire la potenza di un sindacato esistente... Ha meno soci di una cooperativa di medie dimensioni. Quindi deve agire con intelligenza e furbizia. È riuscita ad avere un vicepresidente dei Vigneron Europei in soli 4 anni!

    Chiudo dicendo che tante cose devono essere registrate. dal rapporto con i consorzi al ruolo reale che la FIVI rivestirà. Il primo argomento è complicatissimo, perché con l'erga omnes i consorzi sono in mano agli industriali e alla cooperative sociali. La scelta fatta a Soave è stata complicata e molto discussa, ma visto che sei ben a conoscenza di quella realtà sai come la Cooperativa in quel caso faccia il bello e il cattivo tempo...

    Insomma, diamo tempo al tempo, incalziamo la FIVI, ma non demoliamo il buono che è stato fatto. O non mandiamo, come mi pare sia il caso di questo pezzo, una sorta di curriculum. Perché alla fine dei conti il messaggio mi pareva fosse proprio questo: "Voi non sapete fare nulla assumete me, che sono sindacalista e direttori di consorzi e che la so lunga..."

    Giancarlo Gariglio

  • Angelo Peretti says:
    22 luglio 2012 alle ore 11:51

    Caro Giancarlo, sai che la stima è ricambiata, e se c'è un dispiacere nell'aver interrotto la mia "antica" collaborazione con Slow Food editore è quello di non aver potuto continuare a confrontarmi direttamente con te. Vabbé, la vita va così.
    Detto questo, ti ringrazio dell'intervento, che credo sia chiarificatore - direi definitivamente - sul punto 6. Aggiungo solo tre dettagli. Primo: non ho mai detto e scritto che la Fivi è nata da Slow Food, perché so bene che non è vero. Secondo: credo che la cessazione della tua collaborazione con la Fivi sia stata una grave perdita per i vigneron italiani. Terzo: insisto nel dire che non penso che la Fivi abbia bisogno di sponsor per parlare col Ministro, perché se c'è una cosa che riconosco a questo Governo è la disponibilità ad ascoltare (che non vuol per forza dire condividere), e la Fivi ha tutti i requisiti per poter ambire ad essere ascoltata.
    Per il resto, mi spiace che tu dica che il mio è un attacco a testa bassa alla Fivi. Non lo è. Semplicemente, è un invito a riflettere, a risolvere alcuni dubbi, e taluni mi paiono particolarmente rilevanti. Ho avuto modo di parlarne due volte con Charrere (a Piacenza, durante il Mercato, e a Trento, durante la bella rassegna dei Vignaioli del Trentino), ma nulla è nel frattempo cambiato, ed anzi l'intervento del presidente all'assembea d'inizio luglio ha aggiunto ulteriori dubbi. Per questo ho ritenuto di rendere pubblici i miei interrogativi, sperando siano di stimolo. Almeno con te il tentativo è andato a buon fine.
    Se concludo il mio testo dicendo che senza sciogliere certi dubbi è velleitario pensare di raddoppiare gli iscritti - e questo è l'obiettivo dichiarato da Charrere all'assemblea - è perché ritengo che sia potenzialmente un bene per il vino italiano che la Fivi diventi più rappresentativa di quanto è ora, ma - insisto - senza che talune riserve vengano sciolte, temo che l'obiettivo sia irraggiungibile.
    Per quanto poi riguarda Soave, dico solo che non può essere che ci siano vignaioli soci della Fivi che usano il marchio perché fuori dal consorzio, vignaioli soci della Fivi che non possono usare il marchio perché dentro al consorzio e vignaioli che devono scegliere se stare nella Fivi o nel consorzio. Non può essere per ragioni di buon senso e - banalmente, ma mica tanto - anche per normativa civilistica, che riconosce a tutti gli associati a qualunque sodalizio gli stessi diritti attivi e passivi. Per quanto riguarda poi altri aspetti della realtà soavese, che ritengo di conoscere discretamente, be', mi piacerebbe parecchio poterne parlarne con te a quattr'occhi davanti a un bicchiere, magari d'un buon Soave, magari quello che nasce sul monte Calvarino, e che considero - è nota la mia opinione in proposito - tra il meglio in assoluto che sappia dare l'Italia bianchista.
    Detto questo, aggiungo, con la schiettezza di sempre, che - a meno che si trattasse d'una battuta di spirito, che come tale non avrei colto, e allora me ne scuserei con te - non apprezzo per nulla l'insidioso ultimo capoverso del tuo testo. Non lo apprezzo perché è contrario a quel principio di autonomia e di libertà che mi ha sempre contraddistinto - anche nella mia lunga collaborazione con Slow Food, e tu lo sai bene, perché più volte ne abbiamo discusso - e che comunque mi contraddistingue anche nei miei impegni istituzionali. Dico e scrivo quanto penso e non ho secondi fini: le mie parole vanno lette per quel che sono, e non per quel che fantasiosamente ci si immagina, honi soit qui mal y pense. Io credo che di persone in grado di farla decollare e volare, la Fivi ne abbia avuta una, che poi però ha deciso di scegliere altre strade: tu. Per il resto, la Fivi va bene così com'è, fondata su base volontaria, senza professionisti extra vigna. Purché - ripeto e ribadisco - miri ad aggregare e non a dividere. Perché il vino italiano ha bisogno di una Fivi che aggreghi.

  • Anonimo says:
    22 luglio 2012 alle ore 14:55

    Io non sono nessuno, non lavoro nel mondo del vino, non ho amicizie altolocate e ignoro un sacco di cose. Però il vino mi piace e benedico chi spende le proprie energie per difendere una produzione di qualità.
    Non conosco il Sig. Gariglio, ma non credo la sua fosse una battuta.
    Sig. Peretti, mi perdoni l'intrusione, ma il suo sembra davvero l'invio di un curriculum.
    E la domanda nasce davvero spontanea dopo aver letto il post: Ma Angelo Peretti cosa vuole?
    Non voglio offendere nessuno, Sig. Peretti, non se ne abbia a male e mi perdoni se sono stato importuno. Ho scritto per amor di chiarezza.
    Visto il successo di questo post (3 commenti dal 18 luglio, di cui uno suo) non credo di averle comunque recato un gran danno.

  • Angelo Peretti says:
    22 luglio 2012 alle ore 15:21

    Se poi, caro anonimo, imparasse anche a firmarsi, magari capiremmo di più sul suo esser nessuno... Giusto per amor di chiarezza.

  • Remo Pàntano says:
    23 luglio 2012 alle ore 16:19

    ...e dai, siamo italiani, ma quante associazioni, consorzi, aggregazioni, confraternite ci sono?
    Al dilà delle raccomandazioni per parlare con un ministro di passaggio!
    Mi verrebbe da creare un'associazione di vigneron pentiti, forse manca solo quella, non me ne vogliate e tanto rispetto per i presenti.
    Perchè non cerchiamo di risparmiare e far funzionare quello che esiste già invece di inventare ogni volta un'associazione diversa!
    Prosit!

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