[Angelo Peretti]
Ritengo che la recente vicenda delle modifiche ai disciplinari dei vini della Valpolicella, Amarone in primis, con conseguenti dibattiti e polemiche, possa aver finalmente aperto una nuova fase sulla riflessione del ruolo dei consorzi di tutela. Attenzione: di tutti i consorzi, mica solo di quello specifico della Valpolicella. Perché il mondo del vino italiano è sostanzialmente conservatore - si veda ad esempio la resistenza all’introduzione dell’uso della capsula a vite o del bag in box - e in quanto tale non mi pare abbia ancora compreso che da tre anni la legislazione del settore è cambiata, radicalmente. Soprattutto, è cambiato - per ora in parte ancora solo sulla carta, ma casi come quello valpolicellese dicono che sta cambiando anche nei fatti - il ruolo dei consorzi di tutela dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 61 dell’aprile 2010 sulla “tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini”. Che è la nuova “legge quadro” sul vino.
Stando alle nuove norme, i consorzi hanno ora ruoli ben definiti. Li racconta l’articolo 17 del decreto e sono, nella sostanza, questi per tutti: la promozione, l’elaborazione di variazioni al disciplinare e la collaborazione col Ministero per difendere la denominazione dagli abusi. Poi però, per i consorzi che abbiano una valenza “erga omnes”, e cioè quelli i cui soci assicurino complessivamente la rappresentatività “di almeno il 40 per cento dei viticoltori e di almeno il 66 per cento della produzione certificata”, ci sono altri ruoli, ben più pervasivi e del tutto innovativi. Il primo, e certamente a mio avviso il più importante e per ora il meno attuato, è questo: “definire, previa consultazione dei rappresentanti di categoria della denominazione interessata, l'attuazione delle politiche di governo dell'offerta, al fine di salvaguardare e tutelare la qualità del prodotto dop e igp, e contribuire ad un miglior coordinamento dell'immissione sul mercato della denominazione tutelata, nonché definire piani di miglioramento della qualità del prodotto”.
Ecco, la questione è questa: ora i consorzi di tutela “erga omnes” devono regolare il mercato, governando l’offerta. Mica roba da poco. Anzi, roba da far venire il mal di testa a chi i consorzi li deve guidare, perché si tratta di fare scelte spesso impegnative: se non si fanno per tempo e per bene, e peggio se si sbagliano, sono guai per tutti quelli che producono vino d’una certa denominazione d’origine.
Risottolineo: i consorzi di tutela - e secondo me fin da subito quelli delle denominazioni più competitive e quotate, e dunque di più sensibile e delicata gestione sotto il profilo commerciale - devono dotarsi di strumenti per attuare “politiche di governo dell'offerta” e per coordinare “l'immissione sul mercato della denominazione tutelata”.
Ora, non voglio entrare nel merito delle scelte adottate dal Consorzio di tutela valpolicellese in materia di area di produzione (ed è stato questo il tema più dibattuto sui media) e poi anche di “obbligo del quarto anno d’età del vigneto per poter produrre Amarone e Recioto della Valpolicella”, di “possibilità di procrastinare l’immissione al consumo dell’Amarone in casi eccezionali e limitatamente all’annata” e ancora di “facoltà lasciata alle aziende di utilizzare nel Valpolicella Ripasso piccole percentuali di Amarone della Valpolicella a scopo migliorativo, salvo casi eccezionali in cui tale pratica si renda necessaria” (il virgolettato viene da un comunicato consortile). Dico però che, nel loro assieme, queste norme costituiscono una dotazione piuttosto articolata di leve per “l'attuazione delle politiche di governo dell'offerta” e per coordinare “l'immissione sul mercato della denominazione”, così come prevede la legge. Se poi siano le leve giuste, sta alla filiera valpolicellese deciderlo e verificarlo. Tuttavia, ritengo che per un vino iperquotato come l’Amarone fosse comunque rischioso non avere alcuna leva gestionale. Ora le leve ci sono: si possono tenere come sono, usandole con giudizio, o migliorarle, perché tutto è migliorabile al mondo, ma privarsene credo sarebbe potenzialmente pericoloso.
tutto che é buono bisogna preservare,per suo primo valore!!
Caro Angelo, sono d'accordo con la regolazione dell'offerta però buttare coattivamente il mio amarone nel ripasso per migliorarlo qualitativamente perchè il consiglio di amministrazione del consorzio me lo impone non mi sembra una gran bella trovata, meglio non produrlo quell'amarone! I tavoli di confronto vanno fatti prima delle decisioni importanti, non dopo! W l'Italia!
Grazie del tuo intervento, Pierpaolo. Tuttavia, non credo vi sia necessariamente una corrispondenza automatica e perfetta tra l'eventuale (solo eventuale) decisione di applicare un "miglioramento" del Ripasso con un 15% di Amarone e la sua applicazione tout court. Provo a ragionare per assurdo: mettiamo che io abbia un'azienda che produce solo Amarone e Valpolicella "base": se quanto sostieni fosse coattivo per tutti, mi vedrei costretto a produrre "anche" il Ripasso, no? Oppure sarei esente dalla riduzione coattiva del 15%? A questo punto, se si volesse "salvare" l'Amarone dal "declassamento", tanto varrebbe non rivendicare il Ripasso, no? Ovvio che così non funziona, o meglio, che non può funzionare automaticamente, e penso che questo non sia l'obiettivo. Insisto: ora la Valpolicella ha una serie di strumenti che prima non aveva, e non discuto se siano o no gli strumenti migliori, dico solo che ci sono, e che con le tensioni esistenti sul mercato del vino è meglio avere degli strumenti piuttosto che non averli. Sta ad un tavolo di concertazione vedere se e come applicarli. O modificarli, se si rendesse necessario. Oh, ma sia chiaro, è solo una mia lettura da "esterno": io con l'Amarone non c'entro.