[Angelo Peretti]
Ebbene, mi sbagliavo. Dicendo, qualche giorno fa, del dibattito valpolicellese sulle modifiche dei disciplinari di produzione dell’Amarone e degli altri rossi della felice zona vinicola veronese, supponevo che all’origine di tanti problemi ci fosse il dubbio interpretativo su cosa sia il fondovalle, giacché la pianura sappiamo cos’è. Invece la pianura non sappiamo cos’è: nel parlare comune, infatti, le diamo un significato diverso rispetto alla sua connotazione tecnica.
Il problema è che un comma del disciplinare valpolicellista – comma ora abrogato, con polemiche connesse – affermava che "sono da escludere, in ogni caso, ai fini dell’idoneità alla produzione dei vini i vigneti impiantati su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle". Ora, stando all’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, la definizione di “pianura” è questa qui: “Zona altimetrica di pianura. Il territorio basso e pianeggiante caratterizzato dall'assenza di masse rilevate. Si considerano nella zona di pianura anche le propaggini di territorio che nei punti più discosti dal mare si elevino ad altitudine, di regola, non superiore ai 300 metri, purché presentino nell'insieme e senza soluzione di continuità, inclinazione trascurabile rispetto al corpo della zona di pianura. Si escludono dalla pianura i fondovalle aperti ad essa oltre l'apice delle conoidi fluviali ancorché appiattite e si escludono, altresì, le strisce litoranee pianeggianti di modesta estensione. Eventuali rilievi montagnosi o collinari, interclusi nella superficie pianeggiante e di estensione trascurabile, si considerano compresi nella zona di pianura”.
Avete letto bene: la pianura, laddove vi sia una “inclinazione trascurabile rispetto al corpo della zona di pianura”, può arrivare fino a 300 metri di altitudine. Il che vuol dire che potenzialmente ci può stare dentro una grossa fetta della Valpolicella. Una rogna.
Qualcuno mi ha obiettato che il disciplinare non escludeva tout court pianura e fondovalle, perché l’esclusione era per i soli “terreni freschi” di tali porzioni di territorio. Mi sono letto e riletto la norma, e mi sono persuaso che, così com’è – com’era – scritta, afferma una cosa diversa. Tra l’indicazione dei “terreni freschi” e quella delle aree altimetriche c’è infatti una virgola, e quella virgola complica la vita. Rileggiamola: dice che non vanno bene i vigneti piantati “su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle”. La virgola è birichina: la frase, così com’è, sembra proprio dire che l’esclusione è imposta ai “terreni freschi”, specificando successivamente, dopo la virgola, che i “terreni freschi” sono quelli “situato in pianura o nei fondovalle”. Ben diverso sarebbe stato scrivere che sono non idonee “quelle porzioni di pianura e di fondovalle che siano caratterizzate dalla presenza di terreni freschi”, il che avrebbe comportato che invece vanno bene quei tratti di pianura e di fondovalle che abbiano terreni “non freschi”.
Insomma, la virgola separa l’oggetto del divieto, ossia i “terreni freschi”, dalla specificazione di quali siano tali “terreni freschi”, ossia, genericamente, quelli (tutti) di pianura e di fondovalle. Il combinato disposto di questa lettura e della definizione dell’Istat comporterebbe la cessazione della produzione di uve per i vini a denominazione di una fascia potenzialmente molto ampia di Valpolicella, compresi, credo, alcuni veri e propri cru. Direte: interpretazione cavillosa. Certo, è un’interpretazione cavillosa, ma del tutto plausibile.
E comunque si sarebbe dovuto specificare, senza dubbio interpretativo, che cosa significhi "terreni freschi", ed è un'altra questione, come s'usa dire, di lana caprina.
A questo punto, la domanda che taluni si porranno è questa: ma perché ci si è accorti solo ora di questo problema? La risposta credo sia molto semplice: la certificazione dell’idoneita a fare vino è ora di competenza non più dei consorzi, bensì di un ente terzo. L’ente terzo dà un’interpretazione letterale e dunque stringente dei disciplinari: le parole assumono dunque un significato strettamente tecnico e giuridico. Ma molte delle parole contenute nei disciplinari di produzione sono state scritte negli anni Sessanta, quando a mio avviso si volevano fornire soprattutto indicazioni di massima, fondate sulla tradizione e sulle prassi, e tali erano le interpretazioni consortili. Ora questa approssimazione non è più ammessa: le parole vanno spiegate dettagliatamente, a scanso di ogni equivoco. Oppure vanno abolite. In Valpolicella si è scelto di abolirle. C’è chi dice si sia fatto bene, c’è chi dice si sia fatto male: io dico solo che un chiarimento era necessario.
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