La parola del vino è "indigeno"

17 luglio 2013
[Angelo Peretti]
"Potresti pensare che la parola più importante nel vino oggi sia 'naturale'. O 'autentico'. O, meglio ancora, 'affare'. Nah. Nessuna di queste. La parola più importante nel vino oggi è 'indigeno'. Lasciate che vi spieghi". Non lo dico io, e non a caso ci sono le virgolette. Lo dice uno dei miei wine writer del mito, ossia Matt Kramer, editorialista di Wine Spectator. Lo scrive, appunto, su Wine Spectator, l'edizione di giugno, che però mi è appena arrivata (ah, le poste...).
Certo che mi piace Kramer. Parla chiaro. Dice per esempio stavolta che si fa un gran parlare di 'biodinamico', per esempio, ma che questo, come molti altri termini alla moda, alla fin fine fa riferimento ad un metodo, ad un processo. La stessa cosa che parlare di solfiti o di macerazione. Tutta roba che ha a che fare con scelte tecniche. "Sono cose importanti? Certo che lo sono. Ma non cadere in errore: non sono fondamentali". Oh, vivaddìo, era ora che qualcuno di autorevole lo dicesse.
E allora cos'è che è fondamentale? Kramer non ha dubbi. "Quel che davvero costruisce la nostra conoscenza dell'esperienza vinicola - dice - sono tre profondi elementi: clima, suolo e varietà di uve. Puoi coltivare un cabernet sauvignon biodinamicamente. Puoi affinarlo nell'argilla o nell'acciaio o nel legno. Puoi filtrarlo oppure no. Puoi scegliere di micro-ossigenarlo oppure arrabattarti a minimizzare il contatto con l'ossigeno. Ma all'ultimo giorno di vinificazione avrai lo stesso un cabernet sauvignon". Parole sante.
Pertanto - è il pensiero di Kramer - a contare è solo questa parola: indigeno, autoctono. E autoctona è "un'uva che è in un dato posto da lungo periodo". E che come tale sa esprimere quel luogo. Dando originalità al vino. L'unica via per opporsi alla globalizzazione. Perché "in un mondo inondato da quelli che potrebbero essere chiamati i 'vini del consenso medio', niente è più prezioso di un vino che possa avere il diritto di essere chiamato autoctono". Evvai.

2 commenti:

  • Anonimo says:
    17 luglio 2013 alle ore 12:24

    Anche Guido Morselli, che di parole se ne intendeva, sarebbe d'accordo. In "Roma senza papa" (Adelphi, 1974), che sto leggendo in questi giorni, parla di vini indigeni in una delle digressioni sul vino presenti nel libro.

    Gianvittorio Randaccio

  • Angelo Peretti says:
    18 luglio 2013 alle ore 10:00

    Bel consiglio di lettura, grazie

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